LE RAGIONI DELLA LEGGEREZZA
Mostra personale di Carmelo Nicotra
a cura di Lorenzo Bruni
2018-2019
Bocs, Catania
Letto, 2018, legno, polistirolo, intonaco, 73x103x84 cm
Tavolino, 2018, legno, polistirolo, intonaco, 195 cm x 50ø
Vetrinetta, 2018, legno, polistirolo, intonaco, 177x150x37 cm
Scala, 2018, carta, dimensioni ambientali
Colonna, 2018, carta, 300x77 cm
(Im)possible to graft, 2016, gesso, legno, 83cm x 29ø
Le ragioni della leggerezza, 2018, carta, stampa offset, 15x15 cm
Lo spazio BOCS di Catania ospita la mostra personale di Carmelo Nicotra a cura di Lorenzo Bruni. Il progetto dal titolo “Le ragioni della leggerezza” di Carmelo Nicotra è costituito da tre nuove grandi sculture pensate appositamente per l'occasione che occupano e organizzano lo spazio in maniera inedita. Le loro forme levigate, geometriche e i colori pastello sembrano interrogarsi su quale può essere considerata oggi “l'eredità modernista”. Allo stesso tempo indagano le caratteristiche del ready made di natura “duchampiana” visto che nascono da frammenti, scelti con cura, di mobili vintage. Descrivere queste opere come un dialogo tra geometrie astratte e oggetti della quotidianità vorrebbe dire l'assente” (i volumi dei mobili che non ci sono più materializzati in maniera distaccata) e “dare voce al visibile” (le forme geometriche che abitano il nostro mondo in tutti i suoi particolari). Infatti, la verità è che le singole sculture si situano in un equilibrio estenuante e innaturale tra oggetto nuovo e la ri-attivazione di un oggetto del quotidiano. Tale condizione di precarietà provoca nell'osservatore una sensazione di inquietudine che influisce sulla percezione dell'ambiente circostante, ma anche sull'ipotetico ruolo che dovrebbe ricoprire l'opera d'arte in una società globale e immateriale che non produce più merci, bensì esclusivamente dei “servizi”.
Carmelo Nicotra ha sviluppato una particolare attenzione alla “scultura di assemblaggio” e al “sociale” a partire dall'osservazione della città di Favara, vicina ad Agrigento, dove è nato e dove ha scelto di vivere e lavorare. Il contesto urbano è caratterizzato da un centro storico abbandonato dalla popolazione dagli anni settanta che si è spostata nelle nuove case poco vicine a quelle antiche che, così, senza cura crollano lentamente. Per questo motivo il paesaggio cittadino si modifica nel tempo per via della erosione delle pareti rivelando nuove composizioni, tra cui i muri interni colorati di rosa e azzurro che normalmente sono protetti allo sguardo del passante, mentre nuove costruzioni - a volte abusive - di stile eclettico nascono ovunque. La scelta di analizzare e studiare tale contesto e soprattutto le sue implicazioni visive, pratiche e psicologiche lo ha portato ad individuare una personale idea di oggetto d'arte: dalle sculture assemblate di mattoni e mobili, ai video di indagine sul territorio fino ad azioni collettive. Si tratta di elementi che sfacciatamente si presentano per quello che sono, ma anche per quello che rappresentavano e per quello che potrebbero andare a costituire in futuro. Tutto questo nella mostra a Catania lo ha portato a stabilire un dialogo con il contenitore espositivo non soltanto per mezzo delle sue tre sculture di autocritica al minimalismo o al ready made sopra citate, ma anche tramite nuovi interventi di tipo ambientale al limite con la dimensione performativa.
Le opere-interventi nello spazio architettonico, apparentemente minimi come una colonna di carta da affissioni non stampata appesa al muro e una scultura-mobile da spostare, puntano a far ri-pensare alla relazione che può esistere tra contenitore e oggetto contenuto. Inoltre suggeriscono allo spettatore di fare attenzione a come percepisce e scopre i contesti che attraversa quotidianamente per poterlo fare in maniera consapevole e attiva. Questo aspetto è anche presente nel disegno che si trova al di là del muro finale dello spazio espositivo, come a suggerire che non dobbiamo mai accontentarci delle superfici date, ma anche nell'opera di una silhouette di una scala grezza in cemento trasposta su carta da affissioni bianca incollata su una parete d'angolo. Tutti questi interventi hanno il ruolo di ricordare all'artista/spettatore di prendere posizione nello spazio fisico, non solo in quello delle idee, prendendosi dei rischi in prima persona nel destrutturare le apparenze per renderle, così, strumenti potenti di cambiamento della realtà. Infatti, quello che emerge nel percorrere e abitare - anche se temporaneamente - la mostra al BOCS, riguarda una riflessione più ampia sul tempo e la temporalità delle forme nello spazio reale e la loro persistenza e influenza nella coscienza collettiva. Soltanto tale approccio, sembra suggerirci Nicotra, può trasformare l'esperienza personale in fonte di condivisione con “l'altro diverso da sé”.
Il titolo “Le ragioni della leggerezza” fornito da Carmelo Nicotra sintetizza in maniera concreta, ma anche evocativa, l'intero progetto. La frase, presa in prestito dal libro 'Lezioni americane' di Italo Calvino, viene proposta al pari di uno statement che da subito, per come è proposto, rivela un’attitudine centrale dell’approccio del giovane artista siciliano.
Infatti, l'esortazione si rivela analisi, suggerimento, ma anche incitamento sia personale che collettivo. Il titolo non vuole riferirsi solamente al metodo che lui vuole adottare per la sua ricerca artistica, oppure all'attitudine che l'osservatore potrebbe utilizzare per approcciarsi alle sue opere. Infatti, gli aspetti di fruizione e di produzione dell'opera/idea sono intrecciati nella mostra e in tutto il percorso di Nicotra. Così, come stratificati indissolubilmente risultano i suoi riferimenti alla dimensione delle ricerche artistiche internazionali legate al ritorno del minimalismo rispetto ai riferimenti squisitamente locali legati allo sfruttamento selvaggio delle risorse e del tessuto urbano della città di Favara, presa da Nicotra ad allegoria di tutta la Sicilia in quanto “terra di contrasti”. Partendo da questo punto, da sempre, a creare un dialogo tra più riferimenti culturali, psicologici e documentaristici che rasentano il parossismo e con cui dover riflettere sui principi di realtà che guidano i giudizi delle persone al tempo della globalizzazione nelle post-ideologie.
Nel fare esperienza della mostra di Carmelo Nicotra, nell'attraversarla e nel prendervi posizione, diventa evidente che è stata ideata da lui per assolvere a due compiti ben precisi. Il primo è far emergere le linee guida che hanno caratterizzato fino ad adesso
la sua ricerca oltre a individuare dei punti di svolta essenziali. Il secondo è quello di creare una attenzione inedita verso il contenitore architettonico di BOCS, visto che dopo 10 anni di attività si sta preparando a lasciarlo per diventare altro. I due obiettivi appena descritti sono stati affrontati dall'artista creando una intima interconnessione tra essi. Il risultato è una misurazione dello spazio fisico per mezzo di opere apparentemente minimaliste che rivelano la necessità di ripensare nel profondo le categorie estetiche con cui giudichiamo gli oggetti del quotidiano in quanto belli o kitsch. Di conseguenza, la mostra provoca un forte strabismo tra doverla percepire come un'installazione unitaria oppure come un insieme di singole sculture autonome.
Le tre sculture principali proposte in mostra rientrano nel suo lungo percorso legato alla rielaborazione di mobili vintage che si trasformano in sculture minimaliste o viceversa. La novità di queste ultime, rispetto alle opere precedenti come quelle esposte alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel 2017, è che i mattoni da costruzione e il cemento non sono lasciati a vista. In questo caso i volumi sono perfettamente compatti e netti fino a far ipotizzare il processo opposto: ovvero che sculture minimaliste siano state trasformate in oggetti di arredamento. In un caso un volume rettangolare è caratterizzato in basso dai piedi di una vetrinetta anni sessanta, mentre in alto da un lato in diagonale. In un altro caso un cilindro di un metro e venti si distanzia dal pavimento per mezzo di tre piedi di un tavolo, mentre la terza scultura consiste in una sorta di onda blu sorretta da una testata di un letto singolo. Quello che ottiene l'artista non sono i fantasmi dei mobili degli anni sessanta, perché non ne ripropongono in toto i volumi, ma neanche si tratta di antropomorfizzare i volumi geometrici e trasformarli in “caratteri psicologici” visto che mantengono una loro dimensione astratta. Quello che Carmelo Nicotra presenta sono degli ibridi che mettono ben in evidenza la distanza tra l'oggetto/immagine e l’oggetto/strumento.
Installazione ambientate è un termine che sembra non appartenere alla ricerca di Carmelo Nicotra concentrato su elementi sculturali, mentre invece è un termine calzante per la mostra al BOCS in cui permette di far emergere una misurazione psichica dello spazio al di là della sua percezione propriamente fisica. Infatti, le tre opere minimaliste stridono fortemente con l'ambiente in cemento lasciato grezzo, mettendo in evidenza la relazione particolare che deve sempre esistere tra contenitore architettonico ed oggetto contenutovi. Tale approccio è amplificato da interventi minimi nell'ambiente, introducendo nell'esperienza della sua scoperta l'elemento attivo del tempo: il tempo degli oggetti, il tempo dello sguardo e quello della memoria. Uno consiste in una carta da affissioni non stampata e quindi bianca apposta sulla parete vicino all'ingresso e sagomata in maniera tale da rimandare ad
una colonna dei templi dorici. Un altro è un piede di un tavolo che sostiene una base di una colonna decorativa in gesso che non sostiene niente se non sé stesso e che trova differenti posizioni nel contesto, visto che può essere spostato trasformando tutti gli spettatori in performer potenziali. Un altro ancora nasce in relazione alla parete finale dell'ambiente che viene modificata in un “rettangolo sensibile” semplicemente invitando lo spettatore ad andarvi dietro, azione che permette di osservare un collage e vedere l'ambiente da un punto di vista inusuale. Un altro ancora è una scala sagomata sempre su carta da affissioni che allude ad una ascesa, ma non solo a livello simbolico, ma anche potenziale.
La domanda che pone Carmelo Nicotra con la sua nuova mostra è quale posizione possiamo adottare in quanto società dei social media e della post-verità verso il “modernismo”. Per lui non si tratta solo di modificare volumi geometrici con vetrine o sgabelli, creando così delle antropomorfizzazioni particolari umanizzando la geometria. Però non si tratta neanche di applicare delle regole razionali e pure alla proliferazione casuale degli stili e dei prodotti da arredamento prodotte dal passato come dal presente. Tutto il progetto di Carmelo Nicotra riflette sull’antropomorfismo del minimalismo da una parte e sulla razionalizzazione del casuale dall'altra, collocandosi, così, in una linea di confine labile quanto entusiasmante. Infatti, la soluzione cui giunge non è quella del post-moderno, bensì della necessità di trovare un nuovo modo di concepire la “cultura del progetto”, o meglio la sua interpretazione. Proprio da questo punto di vista particolare è possibile, ci indica l'artista, ripensare a cosa intendiamo per “bello a livello collettivo” nel momento che sono passati quasi cento anni dalla nascita della Bauhaus (il primo impianto didattico e pedagogico legato al bello funzionale pensato per il bene di tutti), cinquanta dall'uscita del film di Stanley Kubrick 2001 Odissea nello spazio (con il suo finale della stanza bianca settecentesca), quarantasei anni dalla pubblicazione del libro “Imparare da Las Vegas” dell'architetto Roberto Venturi che è stato lo strumento teorico con cui il post-moderno si voleva emancipare dal modernismo e trentanove anni dall'inaugurazione a Venezia dell'architettura galleggiante progettata da Aldo Rossi dal titolo “Teatro del mondo” che doveva essere un'esortazione al dialogo tra arte elitaria e cultura popolare, tra piazza e teatro, tra gesti spontanei di socialità e loro organizzazione in nuove categorie di valori. Questi sono aspetti “aperti” e in progress da indagare fruendo la mostra in prima persona e in maniera democratica, ma anche facendo interrogare l'artista stesso sul suo operato come accade nella breve intervista che segue al presente testo.
Photo credit Gabriele Abbruzzese
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